Parlare di letteratura, dicevamo ieri, in questi nostri anni è un compito veramente arduo. Questi nostri sono stati anni in cui la letteratura ha avuto due fasi disastrose davvero, e che davvero potrebbero aver lasciato dei segni indelebili sullo stato di salute delle nostre coscienze letterarie.
Fase uno: distruzione dei dogmi sacri della letteratura, distruzione dei classici, distruzione dell'armonia delle lettere.
Risultato fase uno = la letteratura non serve, non è utile, non è importante, piuttosto è noiosa.
Mezzi attraverso i quali questa fase si è attuata = televisione, adattamento televisivo di opere letterarie, seduzione delle nuove menti attraverso la grande distribuzione
Fase due: tutti possono essere scrittori, tutti scrivono, i libri più venduti sono quelli dei non scrittori, delle non storie, della non grammatica e della non lingua italiana.
Risultato fase due = nessuno è più in grado di distinguere la sporcizia dalla letteratura
Mezzi attraverso i quali questa fase si è attuata = Federico Moccia, biografie di personaggi televisivi più o meno noti, più o meno positivi, Dan Brown
Ma questi anni erano iniziati con il primo romanzo di Umberto Eco, con "Il nome della rosa".
Ora io non sono una delle più accalorate sostenitrici di questo autore, scrittore, filosofo, semiologo, massmediologo e sociologo, tantomeno lo sono di questo testo. Sono una di quelle liceali e studentesse universitarie che hanno cercato in tutti i modi di non imbattersi in questa lettura.
Quando sentivo "Il nome della rosa" un brivido percorreva la mia schiena.
Un pò era il timore reverenziale dell'autore, un pò la commistione di generi che mi destabilizzava, insomma non ho mai avuto particolare dimestichezza con l'Eco romanziere.
Quello che però sempre mi aveva affascinata, e che continua a farlo, sono le immense prospettive e le infinite soluzioni retoriche e di erudizione possedute da quest'uomo.
Gli anni Ottanta iniziano con questo libro e con questo autore, e quello che ho sempre pensato di lui, di Umberto Eco, è che potesse realmente essere la sintesi dell'uomo politico e di lettere dei nostri tempi.
Eco, nell'avventura con il suo primo prodotto letterario, ricorda un pò il Dante che prende ispirazione dai veri fatti di cronaca per costruire le gesta degli eroi più famosi, un pò lo Stendhal de "La certosa di Parma" e de "Il Rosso e il Nero", un pò Manzoni.
Eco, dicevamo, entra in questi nostri anni, fin dal principio come la sintesi tra il vecchio ed il nuovo, come quello che può mettere insieme la filosofia ai linguaggi televisivi, la letteratura ai supporti tecnologici, l'osservazione del tempo al vivere in esso.
Ecco la sua grandezza non è "Il nome della rosa" secondo me, non è per questo testo sacro che inizio con lui, inizio con Eco perchè Eco è il vecchio che entra nel nuovo.
Era il mondo dell'editoria che cambiava, prima di tutto, allora.
Era l'impatto dell'industria editoriale e del nascere di un mondo attorno a questa che imponeva determinati tempi e che scandiva necessari meccanismi di quello che poi sarebbe stato meglio conosciuto come marketing.
L'industria editoriale nasceva ed aveva bisogno di un pubblico di lettori ed al tempo stesso aveva bisogno di un classe dirigente di critici, esperti, o presunti tali, che nutrisse e desse delle direzioni a questo pubblico.
I giovani sessantottini di allora hanno ancora quel retaggio se ci fate caso: oggi un 60/70enne di cultura medio alta non compra un libro che non sia indicato dal critico di turno, e nove volte su dieci possiamo dire che quel critico non ha nemmeno letto il libro? diciamolo.
Questa è l'industria che nasce in quegli anni in cui Umberto Eco era nella pattuglia del Gruppo 63.
Quello di Eco, come quello di Elsa Morante con La Storia era stato nel 1974, è uno dei primi Best Seller all'italiana.
Con tutta la scia di polemiche di cui un best seller necessita per essere un successo indiscusso nel tempo; mi riferisco alle infinite accuse di plagio di cui venne accusato Umberto Eco dopo la pubblicazione de "Il nome della rosa" e dalle quali fu costretto a difendersi fino alla metà degli anni Novanta.
Io credo, e questa è un'opinione del tutto personale ovviamente, che i libri siano cosa per tutti e di tutti.
Credo che non si possa e non si dovrebbe dire la stessa cosa per chi li scrive.
Gli scrittori no, uno scrittore o lo sei o non lo sei, o nasci con quella vocazione e con quel bisogno, oppure no.
Il che non vuol dire che esista uno stereotipo di vita e di stile di vita dello scrittore, no questo mai; questo appartiene al discorso di marketing e di costruzione a tavolino di un personaggio al fine di vendere copie.
Ma credo che si percepiscano nel momento stesso in cui si incrociano le prime tre frasi di un libro, quella vocazione e quel bisogno tipiche di chi nasce con la penna tra le mani; e che siano quella vocazione e quel bisogno a fare la differenza tra lo scrittore e chi si diletta nella scrittura.
Tra lo scrittore e l'uomo.
La mia opinione è che Umberto Eco non faccia parte di quegli eletti, dal punto di vista del talento letterario.
Non si sente traspirare quel bisogno naturale di scrivere.
Credevo oltremodo che fosse doveroso inziare con lui e con il suo best seller perchè incarna e rappresenta l'inizio di questi tempi.
Andando avanti con i libri importanti e di successo di questi anni vedremo che poi esiste la deriva vera e cioè non ci troveremo davanti un libro capolavoro attorno al quale chiederci se chi lo ha scritto è anche scrittore o solo mente davvero geniale... nei prossimi giorni vedremo come in questi anni il nulla sia diventato libro, come il non scrittore, il non alfabetizzato sia arrivato in libreria ed ai primi posti della classifiche di vendita.
Perchè ad oggi purtroppo, qualunque cosa tu produca, che siano merendine o arte, devi vendere, altrimenti non sei nessuno.
Rimaniamo sulla scia di Eco allora, uomo di cultura immenso, che ha saputo inserire il e studiare il nuovo anche attraverso la narrazione di fatti avvenuti nel Medioevo.
Il Best Seller all'italiana. Fortuna e formule del romanzo di qualità.
G.C. Ferretti
Bari 1983
Narrativa italiana
G.Amoroso
Mursia, Milano 1983
La tradizione del Novecento
Pier Vincenzo Mengaldo
Feltrinelli, Milano1975
Saggi su "Il nome della rosa"
a cura di R.Giovannoli
Bompiani, Milano 1983