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La lezione del Sic

La lezione del Sic

Quando l'(h)onda mediatica prende il giro giusto

La morte di Simoncelli è stata una lezione.
Perché quel popolo di giovani che questo paese non vuol rischiare di conoscere era riconoscente al Sic, uno di loro.
Questo risuonava ovunque.
Non un popolo di curiosi, non un turismo da cronaca nera.
Un popolo che si riconosceva e che non voleva lasciar andare via la libertà e la semplicità che Simoncelli rappresentava. 

Una famiglia nella vera famiglia Simoncelli, vero esempio di verità e dignità del dolore.

Abbiamo imparato molto in questi giorni, dai genitori di Simoncelli, dal Super Sic stesso.
Rivedendo instancabilmente le immagini che raccontano di questo ragazzo, di uno di noi, nei suoi giorni da campione.

Ma soprattutto il giorno dei suoi funerali...

Eravamo abituati a vedere i funerali dei nostri ragazzi che rientravano senza vita dalla guerra, abbiamo visto personaggi noti e meno noti ricevere estremi saluti in una giostra di morbosa curiosità schiava della tv.
Lo scorso anno Pietro Taricone, in un susseguirsi di personaggi televisivi che rincorrevano le telecamere e altri che le rifiutavano.
Un inspiegabile contrasto... e i giornalisti che come spazzini utilizzavano ogni immagine avanzata al dolore... ogni immagine, ogni sospiro degli amici e della famiglia del guerriero.

Il Sic ha stupito tutti. Invece.
Dal web alla tv. Dagli amici noti a chi semplicemente voleva bene a quei riccioloni.
Dalla stampa al giornalismo sportivo.
Un amore ed un rispetto composto.
La discrezione nel cercare dichiarazioni della famiglia, e la famiglia a ringraziare.

La semplicità.
Ecco cosa abbiamo amato, in questi giorni in cui non ce lo aspettavamo.
Ma abbiamo scoperto la semplicità che questo ragazzo aveva naturalmente seminato e che ci ha lasciato a a raccogliere mentre lui impennava verso il cielo. 

Ieri sera in un disperato tentativo di tenerlo tra noi abbiamo seguito "Dimmi di Sic" su Italia Uno, abbiamo visto lui in felpa e jeans da Chiambretti, al quale Simoncelli ha detto che non aveva nessuna importanza come era vestito.

E ieri ai funerali.
Ancora...

Da Lady D a Taricone e Gianni Versace ai nostri militari morti in "missione", ogni cerimonia era accompagnata dal solito scialbore di volti e autorità con l'impostata facciata funebre, tutti avvolti in scuri abiti costosi scelti per l'occasione. Carezze sui feretri. Pianti forzati.
Pochi sorrisi, tanti occhiali scuri. 

Capelli composti e eleganza di rito.
Autorità in prima fila e amici relegati alle ultime file.

Ieri No.

In prima fila chi lo ha amato, e come autorità un compostissimo Ministro della Gioventù, vicino al dolore di una generazione stretta attorno ad un simbolo.
Giusto che ci fosse quel ministro, giusta lei. Giorgia Meloni, giovane vicino ai giovani.
Niente abito da cerimonia, niente lacrime ingiustificate.
Nessuna dietrologia politica dietro ad un ministro che era al posto giusto ieri, perché era lì che doveva essere, ed era giusta.

E tra la folla fuori dalla chiesa era visibile l'amore di tanti ragazzi.
Si notavano come puntini i tanti cespugli di capelli, liberamente ispirati a quel figlio del vento che ieri ha messo tutti a sedere.
In circolo, intorno ad un Vasco Rossi che si è riappropriato dell'amore del suo popolo, dopo mesi difficili in cui "i suoi" non lo riconoscevano più.

I campioni e "gli stati generali" in fondo alla chiesa, non visibili. Nessuna sfilata.
Valentino Rossi in felpa con cappuccio e dolore composto.
Il sorriso della mamma di Simoncelli ad illuminare la chiesa.
I campioni del motociclismo che non hanno sfilato.
Gli amici di sempre ed i piccoli motociclisti a fare da corteo ad un sogno. 

E fuori dalla chiesa non applausi inspiegabili ma ovazione come in pista, per un campione che non volevamo lasciar andare.

E' stato bellissimo il funerale del Sic.
La mamma stretta per pochi istanti a Valentino Rossi che applaude l'amico che il destino gli ha messo davanti le ruote.

E' stato bellissimo vedere quanta semplicità esiste ancora, quanta normalità.
Ogni cronista sapeva come ricordare questo ragazzo senza vanità.
Che sognava solo le moto grosse da cavalcare.

In momenti e giorni come questi in cui il giornalismo non esiste più, in cui la morte e la vita sono solo strumenti per far crescere gli ascolti e vendere i giornali il Sic ha messo tutti a sedere.

Come ieri fuori dalla chiesa sulle note di Siamo solo noi, che, diceva Marco Simoncelli,

"Noi lo sappiamo chi siamo" ... e grazie Marco per avercelo ricordato, Chi Siamo!

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